Se è vero che i sogni
muoiono allalba, è perché nascono allora del tramonto. Come quel sogno
amaranto di una notte di mezza estate: 30 agosto 1970.
Arrivò allo stadio dArdenza il Cagliari campione dItalia,
il Cagliari di Gigi Riva e di un irripetibile scudetto sardo strappato allegemonia
della Juventus.
Mai lisola aveva sentito un orgoglio così forte. Gigi Riva era il sogno
dellInter di Moratti, ma lui preferì sempre quella sorta di esilio assolato del
quale ogni volta mi cantava meraviglie Ugo Conti, ex bomber del Livorno nonché aiutante
di campo dellallenatore Manlio Scopigno.
Il sorteggio della Coppa Italia aveva voluto che i campioni facessero la loro prima uscita
ufficiale proprio allArdenza. Li attendeva il Livorno di "Lupo" Balleri in
un girone nel quale erano entrate anche Pisa e Massese.
Quanti straordinari aneddoti attorno a quel Cagliari scudettato. Una
squadra che Scopigno aveva fatto crescere in un clima spensierato, senza proclami, né
rigidi ordini. ("Per lorario dellallenamento di domani, vi farò sapere.
Penso al mattino, ma se stasera vado al night, ci vediamo nel pomeriggio").
Grande personaggio Manlio Scopigno. Una sera di sabato rientrammo molto
tardi da una cena con altri giornalisti. AllHotel Agip, sede del ritiro rossoblu,
una sala aveva la luce accesa. Entrammo. I giocatori del Cagliari erano ancora con le
carte da briscola in mano, e laria era così densa per il fumo delle sigarette che
si faceva fatica a respirare. Qualsiasi allenatore sarebbe andato su tutte le furie.
Scopigno invece si sedette vicino a uno dei tavoli occupati dai suoi, trasse dalla tasca
una sigaretta, e candidamente domandò: "Disturbo se fumo?".
Imperturbabile fino allincredibile. Come quel giorno a Torino,
con il suo Cagliari due volte in gol con Riva, per pareggiare lautorete di Niccolai
e il rigore di Anastasi. Con quel 2-2 i rossoblu tenevano a distanza di due punti la
Juventus, ed era lipoteca sullo scudetto. Nelle battute finali, con i bianconeri
sempre allattacco, il libero Cera si avvicinò alla panchina e chiese con
comprensibile concitazione: "Mister, quanto manca?". E Scopigno senza scomporsi:
"A che cosa?".
Quel Cagliari tritatutto avrebbe dovuto mangiarsi il Livorno
allesordio in Coppa Italia. Gli amaranto avevano una bella squadra, ma niente in
confronto a quella sarda. Portiere era Gori, piombinese, a chiudere la difesa formata dai
terzini Baiardo e Unere, dal libero Azzali oggi commerciante a Parma,
e dallo stopper
Bruschini
che di nome faceva Novilio perché era grossetano, e soltanto in Toscana si
trovano nomi tanto bizzarri, ma aveva un cuore grande così.
A centrocampo erano Martini, in procinto di trasferirsi a Roma per
vincere lo scudetto con la Lazio e prendere il brevetto di pilota daereo. Con
Martini cerano il bravo ma lento Santon, Albrigi che già si era fatto un nome nel
Torino, il Battistini da Lagnano non lontano da Legnano, e come non bastasse anche Zani a
rinforzo. Davanti? Che se la vedesse il solo Pandolfi prima che gli andasse a dare una
mano Picat Re, lungagnone nato allaeroporto torinese di Caselle e perciò destinato
a diventare unala.
Poveri amaranto! Contro di loro cerano molti reduci dal Mondiale
di Messico 70, il portiere Albertosi che teneva in panchina Zoff, e poi Cera, Domenghini,
Gigi Riva e anche un ragazzo di Livorno, il velocissimo Corrado Nastasio, fieri di quello
scudetto cucito sul petto, anche se non vinto da lui. Fu strenua difesa per tutto il primo
tempo, poi il Livorno prese coraggio e scrisse un finale incredibile: gol del terzino
Unere a dieci minuti dalla fine, e sigillo dellaspirante pilota aeronautico Martini
proprio mentre il Cagliari stava tentando la disperata rimonta.
Arbitrava Cesare Gussoni, futuro designatore arbitrale e predecessore di Paolo Bergamo.
Con quella vittoria il Livorno vinse il girone e si qualificò, ma per farlo dovette anche
andare a vincere a Pisa dove in panchina stava Mannocci, orgoglioso dei suoi trascorsi in
Serie A con gli amaranto. Inguaribile nostalgico anche lui.
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